giovedì 24 marzo 2011

Thomas Pynchon Vizio di Forma

Thomas Pynchon Vizio di Forma, Einaudi 2011


voto: Sospeso


Prima di poter dare un giudizio all'ultimo libro di Pynchon mi sono ripromesso di rileggere i due romanzi che con Vizio di Forma costituiscono la cosiddetta ( o meglio dire considerata) trilogia sugli Psychedelic Sixties: L'incanto del Lotto 49 e Vineland. Non nego che molta della mia ritrosia nel giudizio sia dovuta al fatto di trovarsi a confronto con l'opera più recente di colui che è considerato universalmente come il più significativo autore del postmoderno, ancor più di Roth e DeLillo, anche a causa di una produzione centellinata benché imprescindibile, unita a un'identità ostinatamente celata, che lo avvolge di un'aura di mistica irraggiungibilità.

Certo è che Vizio di Forma è il romanzo più 'Narrativo' di Pynchon, quello che più si concede al gusto e soprattutto all'ironia propria del grande pubblico, quello dei best seller e della narrativa più formale. La vicenda si svolge nella Los Angeles fine Sessanta inizio Settanta, intrisa di tutti gli elementi iconografici ( e sì, stereotipati) che la caratterizzano: hippy e agenti del 'sistema', il terrore delle sette dopo i crimini della family di Manson, il surf e le Pantere Nere, il Vietnam e Richard Nixon. Riuscitissimi e sorprendenti tutti i personaggi, in primis il protagonista, Larry 'Doc' Sportello, detective un po' hard boiled un po' hippy, sballottato tra la rassicurante immagine di John Garfield e l'incombere della futura dipendenza tecnologica rappresentata da ARPAnet ( forse l'elemento più debole e scontato del libro). Onnipresente la colonna sonora di sottofondo (interessante procurarsi i numerosissimi brani citati e ascoltarli durante la lettura), come la nebbia psicotropa che avvolge tutta la vicenda, nella quale l'alternanza di livello conscio e non, così come il trip su nomi e vicende che coincidono in modo improbabile, disorientano sul fatto che si tratti di realtà o allucinazione paranoica tanto il lettore quanto il protagonista che, neanche a dirlo, se Marlowe aveva il tic di toccarsi l'orecchio sinistro, ha quello di accendersi uno spinello.